Abbiamo intervistato Florinda Saieva, fondatrice della scuola dedicata a ragazze tra i 14 e i 18 anni:”Il cambiamento comincia da una nuova consapevolezza di sé stesse”. Abbiamo deciso di sostenere insieme a voi il suo progetto Prime Minister, una scuola di politica e leadership dedicata alle ragazze tra i 14 e i 18 anni e vi raccontiamo perchè con le parole della sua fondatrice.
Cosa avresti voluto fare da grande?
Esattamente quello che faccio adesso…
Comincia così, a cavallo tra la visione e la sua realizzazione la chiacchierata con Florinda Saieva. L’abbiamo scelta tra le donne che ci piace raccontare per un mese dedicato alla donna che oltrepassi i confini del giallo mimosa; vogliamo trovare la tinta più adatta e inedita a dipingere la grande tela dell’universo femminile, così come piace immaginarlo a noi. L’abbiamo scelta perché Liccamuciula ha deciso di sostenere il progetto che Florinda ha creato, Prime Minister: la scuola di politica e leadership dedicata alle ragazze tra i 14 e i 18 anni e lo farà insieme a voi, donando una borsa di studio a una delle partecipanti. Insieme a Florinda hanno lavorato a dare forma al progetto anche altre appassionate ragazze: Denise Di Dio, Eva Cammerino e Angela Laurenza.
Leadership femminile e il poter dell’immaginazione
Tutto il percorso di Florinda sembra guidato dal potere dell’immaginazione. “Se non siamo capaci di immaginarlo, non possiamo neanche farlo”, ci dice raccontandoci di Prime Minister, la scuola che ha inaugurato lo scorso anno a Favara. Si, a Favara, in quello scorcio di Sicilia che è già balzata agli onori della cronaca da qualche anno grazie a Farm Cultural Park, il progetto ambizioso di rigenerazione urbana che insieme al marito Andrea Bartoli ha fondato proprio lì e che adesso è sede anche di questa nuova avventura.
Come nasce l’idea di Prime Minister?
Sono la sesta di sei sorelle; ho avuto un padre che, nonostante fosse degli anni Trenta, era incredibilmente aperto. Sono stata abituata a pensare alla differenza dei sessi in maniera serena; mi sono però dovuta scontrare con la realtà: ancora oggi essere donna vuol dire non essere pari in tanti settori. Da piccola andavo con papà nei cantieri, da grande li ho frequentati da sola: la mia parola, soprattutto all’inizio, non valeva quanto quella di un uomo. E poi il calcio, una passione che però non mi era consentita: “Non fare il maschiaccio”, mi dicevano. Lo sport è visto spesso come competizione e non come un linguaggio di sfida personale. Ho insistito fino a formare una squadra di calcio femminile, con cui abbiamo partecipato a delle competizioni regionali. Da questo dislivello nasce Prime Minister: vogliamo mettere in discussione i luoghi comuni e i limiti culturali con cui ci scontriamo spesso.
Per farlo partite dalla politica, l’arte più strategica, ma anche aleatoria…
La nostra è una scuola di leadership e di politica femminile. Non vogliamo creare candidate, ma giovani donne capaci di leggere la realtà e di ri-pensarla. Partiamo dalla politica perché è una delle aree dove c’è una maggiore mancanza di donne, perché ne sentiamo il bisogno per dare sostanza a un cambiamento che stenta ad arrivare. Del resto se continuiamo a dare le stesse risposte agli stessi problemi, avremo gli stessi risultati: pessimi. Partiamo dalla politica anche perché vorremmo darle la capacità di analisi, la profondità di sguardo e la concretezza di azione di cui ha bisogno e che le donne sanno portare nei progetti che intraprendono.
Quali sono oggi gli ostacoli maggiori, dal vostro punto di vista?
Tutto parte da un modello culturale sbagliato: le donne in politica sono ancora oggi una presenza rara e spesso connotata più dall’aggettivo “bella”, piuttosto che “brava”. Le ragazze non sviluppano una necessità politica perché non hanno interlocutori, nessuno gliene parla, neanche a scuola. Abbiamo chiesto alle partecipanti alla prima edizione di Prime Minister se fossero d’accordo ad abbassare la soglia dell’età per il voto. Ci hanno risposto di no, perché non si sentono pronte.
Quali sono dal vostro punto di vista le aree che ancora oggi stentano ad accogliere una visione più morbida e quali, invece, quelle che hanno fatto dei passi in avanti?
Le aree STEM sono ancora ampiamente deficitarie di una partecipazione della sfera femminile, mentre l’area dell’educazione è quella che tradizionalmente gode di una maggiore forza. La politica, appunto, è fanalino di coda: per questo abbiamo deciso di cominciare da qui. Non è solo una questione di numeri, però. Si tratta della cultura che nutre questi stereotipi: da qui bisogna cominciare per ri-fondare la questione femminile.
Il vostro percorso di empowerment prevede una serie di incontri e laboratori che aprono spiragli di riflessione, ma che siano anche in grado di dare respiro e visione alle giovani donne. Cosa occorre poi perché si trasformino in azioni operative, innescando un reale cambiamento?
La nostra scuola lavora già al cambiamento. Lo scorso anno con le partecipanti abbiamo affrontato il tema della responsabilità dei privati nella cosa pubblica e diverse ragazze hanno tradotto gli spunti in azioni concrete: campagne plastic-free, manifestazioni contro lo sfruttamento degli animali nei circhi, ecc. Quando si parla di politica si pensa alle azioni strategiche di lungo corso, ma in realtà fare politica vuol dire anzitutto incidere sulla propria realtà quotidiana. Da qui dobbiamo cominciare, è questa la responsabilità più urgente che cerchiamo di fare emergere con la nostra scuola. Anche le piccole azioni sono frutto del processo che dovrebbe distinguere ogni azione politica: si parte sempre da un’analisi del contesto, dalla visione di una realtà diversa e dalla progettazione delle azioni che servono per arrivarci. Purtroppo la politica ha perso la capacità di progettare: ci sono tanti libri dei sogni, ma manca la visione progettuale che può diventare concreta.
Quali sono i risultati del primo anno della vostra scuola e che novità ci sono quest’anno?
Siamo molto contente della prima edizione: 20 ragazze partecipanti con grande passione. Ci sono dei traguardi che ci sembrano importanti emersi da questa prima edizione. Anzitutto abbiamo smentito il fatto che le donne non possono lavorare insieme: è una retorica che giova solo agli uomini; noi abbiamo lavorato benissimo insieme. Emergono anche aspetti dolenti, come la profonda inadeguatezza della scuola italiana; le ragazze si lamentano di studiare solo teoria e di non avere spazi per discutere di educazione civica. La scuola italiana non prepara i ragazzi sui temi della cittadinanza attiva.
Qual è il tema che affronterete quest’anno?
Quest’anno lavoreremo sul municipalismo e lo faremo affiancando gli incontri anche con un progetto sui temi dell’ambiente. All’edizione di Favara si aggiunge quella di Napoli, un primo passo fuori dall’isola, a cui ne seguiranno altri. A questo si accompagna una sensibilità crescente da parte delle aziende come la vostra, che decidono di sostenere il nostro progetto perché si rendono conto che sono questi i “focolai” che possono innescare dei cambiamenti sociali importanti.
Se chiedi a Florinda Saieva cosa avrebbe voluto fare da grande risponde: ”Esattamente quello che faccio adesso”. Subito dopo però spunta un tono birichino nella voce e aggiunge: ”Ma forse devo ancora diventare grande…”
Forse sta proprio in questa capacità di sognare, discutendo di cose estremamente serie con una dolce leggerezza, che nascono e crescono le idee più visionarie.
Se volete sostenere insieme a noi il progetto Prime Minister, basta fare un’acquisto online entro il 31 marzo: per ogni ordine doneremo 1 euro al progetto, che servirà a coprire con una borsa di studio la partecipazione di una delle ragazze scelte per l’edizione di quest’anno.
Santina Giannone