Quando ho iniziato a fare politica era nata da poco mia figlia: sulla scorta di un entusiastico attivismo civico mi ero candidata al Consiglio Comunale. Allattavo e poi andavo a fare i comizi di quartiere. Spesso mia madre mi seguiva con la mia bambina in braccio, ed era una scena insolita vedere questo trio (mamma, nonna e figlia) tra bandiere e megafono.
Pirchì nun si ni sta a casa, cu sa figghia? Perché non se ne sta a casa con sua figlia?
Cominciarono a dire così, i politici, gli uomini quelli “veri”, parcheggiati inutilmente sotto gli alberi della piazza del paese. Nonostante gli esordi scoraggianti, cominciai una strada piena di buche e di storte, ma anche di momenti intensi e fertili. Percorrendola, ho lavorato ai principali temi di sviluppo e vertenze del territorio; sono stata candidata più volte, dal Parlamento Europeo al Consiglio Comunale; ho vissuto l’esperienza istituzionale e quella della dirigenza politica. Sono fiera di aver portato le istanze no global nella crisi dell’agricoltura siciliana, a fianco di centinaia di piccoli agricoltori rovinati, e di aver posto la questione del recupero dei centri storici in un’ottica civica e di opportunità (un discorso aperto che richiede ancora molto impegno).
Un corteo di parole mi ha accompagnato in questo percorso, molte delle quali ingiuste e offensive, dirette a disattivare l’autorevolezza, a sminuire la competenza, ad alimentare l’ostilità. Maestrina, raccomandata, corrotta, ricottara, vanesia, pezzente, perfino mafiosa.
Posso ricordare un insulto ricevuto per ogni lettera dell’alfabeto, compresa la S di strega, un grande classico nella prigione di parole delle donne.
Cosi ho lasciato la scena della politica tradizionale. Ho abbandonato l’esposizione, che in una società ostile alle donne può tradursi in calunnia e isolamento. Ho detto addio alle riunioni notturne in stanze fumose piene di uomini che parlano di niente, mentre la vita delle persone scorre in luoghi lontani. Come succede a moltissime donne, non ho smesso di fare politica, ma la pratico lontana dalle sedi tradizionali, secondo i miei tempi e i miei valori: nel mio lavoro, nelle ore che dedico al volontariato culturale e all’associazionismo.
Non smetto di dire la mia, specie quando vedo il mio paese soffrire. Non smettono di dirmi stai zitta.
Continuo a sognare il momento in cui le ragazze apriranno le finestre di quelle stanze fumose dove gli uomini credono di fare politica, e parleranno delle cose vere, mettendo al primo posto la cura del mondo, e le donne, i bambini, i fragili, e agiranno in loro nome. E ripareranno all’ingiustizia – sigillata da un segno di sangue- per cui la nostra maggioranza è da sempre ridotta a minoranza.
Come Florinda Saieva, ideatrice insieme al marito Andrea Bartoli di Farm Cultural Park di Favara e creatrice del progetto PRIME MINISTER, una scuola di formazione politica per le ragazze del sud (le sedi sono a Favara di Sicilia e a Napoli); lì si insegna come diventare attiviste e portatrici di iniziativa politica nelle proprie comunità.
Abbiamo deciso di sostenere il progetto donando una borsa di studio che andrà a una delle ragazze partecipanti a PRIME MINISTER; abbiamo pensato di fare questo pezzo di strada insieme a voi, la nostra comunità, sostenendo questo progetto che tocca il cuore delle questione femminile nel nostro paese.
Aspettando il momento in cui una ragazza spaccherà il tetto di cristallo e ci porterà tutte lì, dove si decide e dove si guidano i popoli.
Per conoscere meglio il progetto PRIME MINISTER, potete anche leggere l’intervista che abbiamo fatto alla sua ideatrice, Florinda Saieva.
Per scoprire come aiutarci a sostenere il progetto, basta visitare il nostro ecommerce.